Doping da dop, bevanda alcolica usata come stimolante nelle danze cerimoniali in sud Africa nel 1700. Gli olandesi, invece, parlano di doops (una salsa densa) che entrò nello slang americano per indicare la bevanda con la quale i rapinatori drogavano le loro vittime mescolando tabacco e semi di stramonio causando sedazione, allucinazioni e confusione mentale
Fino al 1889 la parola dope era usata relativamente alla preparazione di un prodotto viscoso e denso di oppio da fumare e successivamente allargò il proprio significato ad indicare qualsiasi sostanza narcotico-stupefacente. Nel XX secolo, “dope” veniva anche riferito alla preparazione di droghe destinate a migliorare la prestazione dei cavalli da corsa. Nel 1999, inoltre, nasce il WADA (World Antidoping Agency).
Le sostanze dopanti, sia a base naturale sia a base chimica, aumentano le prestazioni psico-fisiche di una persona. Il loro utilizzo non ha uno scopo terapeutico, bensì è finalizzato al miglioramento dell’efficienza psico-fisica e biologica durante una prestazione sportiva. II ricorso al doping avviene spesso in vista o in occasione di una competizione agonistica. Nello specifico permettono di aumentare la massa e la forza muscolare, l’apporto di ossigeno ai tessuti oppure di ridurre la percezione del dolore o di variare il peso corporeo. Tutto questo, non senza particolari rischi per la salute.
Con le sostanze dopanti (ISS, Ministero della salute, 2006) si cerca di ottenere un risultato prestazionale migliore, chiamato “inganno artificiale della prestazione”, si altera la percezione di paura e senso di non farcela, si espone l’organismo a malattie, sul cuore, sul fegato, sugli organi sessuali, si può provocare gravi danni alla salute, dipendenza, depressione, difficoltà di concentrazione, si altera lo sviluppo del corpo, si modifica artificialmente i percorsi di crescita e si rischia di incorrere in pene dalla giustizia sportiva e ordinaria.